Ciao Luciana!


Si dice di san Francesco Saverio che morì di stenti, ovvero di stanchezza. Fu un evangelizzatore tenace ed energico; camminò ovunque per portare il Vangelo e ad un certo momento cadde e morì. Dicono di stanchezza.
Vorrei prendere il santo gesuita ad esempio per meglio comunicare quel che è successo alla nostra sorella Luciana. La vedevamo stanca ultimamente, più del solito. Eppure ha continuato a scendere e salire le sue scale come sempre ha fatto nei suoi ultimi 25 anni di vita. Quelle scale che collegano casa e chiesa, dove l’una si fonde nell’altra: servizio a Dio e servizio agli uomini. Ultimamente, però, le scale le scendeva a fatica e solo per trovare sollievo davanti al tabernacolo di Gesù unica vera Medicina tra le tante che prendeva.
Mi aveva rivelato qualche settimana fa la decisione di lasciare la canonica per tornare a casa dai suoi figli. Mi chiedeva giusto un tempo congruo per fare il trasloco. E in questo tempo ha continuato a salire e scendere quelle benedette scale per offrire gli ultimi centimetri di stoppino acceso di una candela ormai esaurita.
Si, Luciana è stata una candela accesa, che pian piano si è fatta piccina piccina e si è consumata perdendo la propria perfezione, coprendosi di strisce di colata di cera, che tanto ricordano le rughe del suo viso usurato dalla vita. Non c’era piu nulla da bruciare in quella candela consulta dal tempo e dalle fatiche. È proprio morta di stanchezza. Ha dato tutto.
Ogni giorno che passava sentiva che non poteva più fare le cose del giorno prima e questo era per lei il dolore più grande. Poi ha capito che doveva prendere la croce. Dall’orto del Getsemani ha cominciato a cammminare verso il Calvario e la preghiera é divenuto sacrificio vivente. E lì in croce si è spenta. Ha aspettato tutti. Ha salutato tutti nella notte di Natale e qualcuno nella cameretta di ospedale. Qualche giorno appena, giusto per dare il tempo alla nipote di salire a Riccione, ai figli di vederla spegnere ora dopo ora e a tutti noi di tornare dalla montagna. Ci ha aspettati tutti.
Cara Luciana grazie per il dono di una vita spesa prima per la tua famiglia, per i tuoi figli, e poi per tanti figli della parrocchia a cominciare dai bambini che hai sfamato nelle due giorni e nei campeggi, che hai vestito per la loro Prima Comunione, che hai contemplato dal terrazzino di casa mentre scorazzavano sugli scivoli nel giardino dei giochi.
La tua vita non è stata affatto semplice, tante ferite e tanti strappi, ma da buona sarta hai saputo ricucire, almeno fin quando trovavi stoffa per farlo. Dio non si è lasciato vincere in generosità  e non ti ha lasciata sola nei momenti bui. Ti ha consegnato amicizie e solidarietà e infine una parrocchia, una comunità pastorale e tante relazioni da stringere e da abbracciare. Eri innamorata della vita. Ti piaceva cantare e tutti ti ricordiamo così; nelle tue performance solinghe e improvvise quando da sotto sentivamo un canto mariano provenir dal bagno o dalla cucina.
Non ti spaventava la novità. Piu di tanti ti sei coinvolta in esperienze che anche i più giovani facevano fatica a recepire. Quando si parlò di evangelizzazione di strada ti sei buttata a capofitto in quei miei primi anni di ministero, dove d’estate, rimanevi per me l’unico punto fermo della pastorale parrocchiale. E divenisti mamma di tutti. Don Davide Banzato di Nuovi orizzonti è stato il primo a messaggiarmi per la tua salita in cielo e poi Gianni, Giacomo, Robertino,  Carlo, Riccardo e tutti i preti stranieri a cominciare da Padre Jahd e Charles ora Vescovi in Siria e Libano.
Hai accolto con entusiasmo l’Albatroccolo a cui hai ceduto il posto e poi il centro estivo sotto casa. Ti rallegravano le grida dei bambini e non ti spaventava il disordine. Preferivi che si facesse, piuttosto di non fare, a costo di lavorare di più. Fin quando hai potuto hai curato ogni parte della chiesa, hai avuto quell’occhio che solo una donna di casa può avere.
E poi ti ha coinvolto affettivamente il Punto Giovane e i suoi educatori a cui hai voluto e che ti hanno voluto tanto bene e la nuova e ancora acerba comunità AlbaMater che non hai mai guardato come una diminuzione o una sottrazione, ma come un vero valore aggiunto.
Hai gustato ogni spettacolo in Sala Africa, anche i film più impegnativi; hai installato Pregaudio sul tuo telefonino e ti sei seduta sere e sere d’estate a guardare e riguardare divertita in giardino gli spettacoli di Zucchino fino ad abbracciarlo sull’altare quando è diventato don Francesco.
E infine hai accettato, con grande apertura mentale, che la nostra nuova esperienza sacerdotale con Marco e Valerio cambiasse sede dall’Alba alla Mater sapendo bene che era la cosa migliore da farsi.
Sono rimasti negli ultimi anni i nostri momenti del sabato sera. Io, te, Patrizia, Valerio, Marco e Vittorio ogni sabatosera con la pizza delle 19.30. Ora mangerai con Vittorio in cielo e canterai non più negli angoli di casa ma direttamente tra la braccia di Dio.
Della perpetua manzoniana, con te finisce la raffigurazione. È finita un epoca della Chiesa come suole ripetere Papa Francesco.  Luciana tu sei stata fra le ultime donne che han scelto di vivere, vedove o altro che siano, in canonica come domestica del prete e sicuramente sei stata l’ultima perpetua nella nostra diocesi. Ma hai segnato un passaggio. Dapprima a servizio di don Tonino, poi di don Franco e poi della comunità intera. Questo sarà in futuro. E di perpetua con te faremo un processo deonomastico inverso. Non più perpetua di fatto, ma di nome. La sua etimologia originaria è: perpetua cioè costante, che avanza in moto continuo, destinata a durare per sempre. Per l’eternità! Ecco ora Luciana sei davvero la perpetua di Dio, con Lui per sempre, per l’eternità.

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