Le parole dei tempi nuovi. Al primo posto Papa Francesco.

Il dizionario del futuro
ILVO DIAMANTI
Il Lessico dei Tempi Nuovi, costruito in base a un’indagine di Demos-Coop per la Repubblica delle Idee, in effetti, non sembra proporre idee molto nuove.
Conferma, invece, alcuni elementi noti del linguaggio, e quindi della cultura politica dei nostri giorni. E altri, invece, li dissimula. Rendendoli, per questo, più evidenti. Si delinea, cioè, una polarizzazione intorno a valori e riferimenti sociali condivisi oppure “divisi” — che provocano divisione. Adesione oppure distacco.
Parole pronunciate da tutti, con tono imperativo, eppure di rammarico. Perché evocano attese perlopiù deluse. O, comunque, eluse. Le pari opportunità alle Donne e le maggiori opportunità ai Giovani; l’importanza da attribuire al Merito ma anche all’Uguaglianza.
Al Futuro e alla Democrazia; all’Unità Nazionale e alla Solidarietà; al Risparmio e alla Cooperazione. Agli imprenditori. E poi al Popolo. Usato come una bandiera, da movimenti e attori politici. Anche se con significati diversi. Visto che è la radice della Democrazia, ma anche del Populismo. Il Popolo. Una parola che ha grande futuro. Soprattutto a Sinistra. Al primo posto nel dizionario del nostro tempo, c’è, però, Papa Francesco. Vettore del consenso e del cambiamento. Riferimento condiviso. Da tutti. A destra ma anche a sinistra. Soprattutto fra le donne.
Nella rappresentazione sociale, appare molto più forte della Chiesa — che pure migliora la propria credibilità, rispetto all’anno scorso. Il riconoscimento attribuito a Papa Francesco conferma l’importanza assunta dalle parole e dalla figura che le impersona. Soprattutto nel passaggio dall’eccesso alla crisi. Il Pontefice, infatti, utilizza parole semplici, quasi banali. Il richiamo ai poveri, agli emarginati, alla bontà e alla tenerezza. L’invito a non rassegnarsi. Può sembrare un catalogo di buoni sentimenti. Che però suscitano larga approvazione. Come molte fra le “parole” che, fra gli italiani, riscuotono maggiore approvazione. Papa Francesco le riassume e personifica tutte insieme. Per questo “piace” a — quasi — tutti.
Per la stessa ragione, all’opposto, in basso a sinistra, incontriamo altre due persone. Altrettanto riconosciute, in Italia. Per motivi esattamente alternativi. Perché“dividono”. Silvio Berlusconi e Beppe Grillo. Quanto di più diverso e lontano da Papa Francesco. La loro posizione, in solitudine, in fondo alla mappa dei riferimenti del linguaggio politico, in fondo, è un segno di forza e di distinzione. In modo simmetrico al Papa.
Il Pontefice: apprezzato da tutti. Il Cavaliere e il Comedian: capaci di spezzare il clima di opinione. Di produrre fratture profonde negli atteggiamenti politici degli italiani. Berlusconi: colui che per vent’anni ha diviso il Paese, su base personale. A favore o contro di lui. Grillo, che, di piazza in piazza e sulla Rete — ma anche in Tv, senza andarci mai — ha diviso gli elettori “dai” partiti. Dai politici. I quali, non a caso, si collocano in un’area “ai margini” del linguaggio. Tutti insieme. Partiti e politici, appunto. Ma anche Destra e Sinistra. Federalismo e Grandi intese. Il Presidenzialismo, oggi in questione. Uniti dal disincanto. Si salvano Enrico Letta e Matteo Renzi. Discussi e discutibili, ma non “de-legittimati”. I quali si staccano dalle altre parole della politica corrente, risucchiate, invece, dalla corrente dell’antipolitica. Che non piacciono agli italiani.
Comunque, non sono socialmente “riconosciute”. Al pari di altri atteggiamenti — la furbizia, l’egoismo, l’indulgenza verso l’evasione fiscale — che, magari, in privato, vengono accolti e praticati. Senza, però, venire ammessi. Diverso è il caso dell’Islam. Solleva inquietudine, soprattutto, presso i settori della popolazione che “soffrono” maggiormente delle paure “globali”. Le persone più anziane e meno istruite, in particolare. L’Islam, tuttavia, è anche motivo di divisione politica. Non a caso è guardato in modo ostile soprattutto da chi si sente di Destra.
Ci sono poi altre parole, che suscitano sentimenti contrastanti. Richiamano istituzioni e soggetti, progetti e obiettivi molto diversi. In ambito pubblico, religioso, economico ed etico. La Chiesa, lo Stato e l’Unione Europea. La concorrenza, il consumo e il divertimento. I magistrati. Le unioni gay. Occupano uno spazio pubblico di confronto e discussione. Controverso e contrastato. In base alla posizione politica ma anche alla generazione. La concorrenza, il divertimento, le unioni gay (ma anche Grillo), ad esempio: sono — relativamente — più popolari fra i giovani. Il presidenzialismo,la furbizia, il federalismo e la Chiesa: piacciono di più a destra.
Nell’insieme, il lessico degli italiani, descritto dall’indagine di Demos-coop per La Repubblica delle Idee, riproduce le certezze e le incertezze di questa fase di cambiamento — senza orizzonte. Un tempo nel quale ri-emerge il controcanto, già evocato, fra domande deluse e realtà deludente. Tra la richiesta di beni comuni e di comuni virtù, da un lato, e il diffuso malessere prodotto dalla politica e dal senso cinico diffuso, dall’altro. È la fatica di tradurre in fatti quel che si dice. E le parole in effetti.
Anche perché, in questo dizionario, mancano parole di largo uso e consumo, in questa fase, con grande successo. Le abbiamo volutamente escluse, in modo consapevole. Perché evocano violenza e aggressione. Invettiva e disprezzo.
Non l’abbiamo fatto per reticenza o per buona educazione (anche se gli antichi vizi, appresi da giovani, in famiglia e a scuola, non si perdono). Ma perché le parole, nella vita pubblica e privata, sono fatti. Così noi preferiamo “non dirle”. Per “ri-cominciare”, preferiamo scrivere piuttosto che “de-scrivere” quel che non cipiace.
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