Quest’anno rifaccio il presepe …(E.Olmi)

In questa nostra vigilia di Natale, coi cartoncini d’auguri cosparsi di polverine d’oro, è meglio lasciar perdere. C’è in giro una gran brutta aria e nessuno può aiutarci a venirne fuori se non noi stessi. Tutti insieme, contando sulle nostre forze e la nostra volontà. Ma anche con l’aiuto dei sogni e delle belle favole. Come quando da piccolo anch’io scrivevo la mia letterina a Gesù Bambino per confidargli i miei desideri. Allora si usava così.


Sono passati più di ottant’anni. Una vita! E adesso che sono vecchio e le energie affievoliscono, ecco che torno ad aver ancora bisogno di sogni e belle favole. E allora, sommessamente, ma con nuovo slancio, mi rivolgo ancora a Gesù Bambino per dirgli che non l’ ho dimenticato. Certo; un po’ trascurato, questo sì. Ma sappiamo bene come vanno queste cose. Si comincia che quasi non ce ne accorgiamo e poi ci facciamo prendere dentro dai cambiamenti del mondo, e un po’ alla volta si finisce col cambiare anche noi e diventiamo uguali a tutti gli altri.

E così è stato.

Eravamo poveri in canna. Solamente i più fortunati mettevano insieme pane e companatico. E neanche nel giro di 100 anni siamo diventati tutti ricchi. Per la prima volta, nella storia dell’umanità, alcuni popoli di Paesi all’avanguardia hanno potuto scoprire il benessere. Una parola nuova, che non conoscevamo e improvvisamente ha cambiato il nostro vivere. E anche noi, in questa vecchia Europa un po’ in affanno, abbiamo cominciato a praticare i modi e le mode dell’agiatezza. Che sono cose, queste, che s’imparano subito e senza bisogno che qualcuno ci spieghi che coi soldi è comunque un gran bel campare. E tu invece, caro Gesù Bambino, che sei venuto al mondo in una stalla per insegnarci la povertà come virtù, e praticata come atto di giustizia, francamente, con tutto quell’improvviso trionfo dell’abbondanza saresti stato un disturbo. Non eri adatto a comparire in mezzo a tutto quel lusso sfavillante delle vetrine intasate da ogni bendiddio.

Molto più adatto Babbo Natale! Non più un pargolo riscaldato dal fiato di un bue e un asinello, ma un bizzarro pupazzone dalla barba candida come un tocco di neve che adorna quel suo sgargiante costume rosso cocacola. Si annunciava da lontananze nordiche al suono di uno scampanellìo festoso e già, appena celebrati Santi e Defunti, lo si vedeva comparire dappertutto. Ogni angolo di strada, le piazze delle nostre città erano presidiate da Babbi Natale. Addirittura un’invasione di questi inverosimili abìtatori dei boschi che, chissà per quale impulso di generosità, tiravano fuori da una grande cesta portata sul groppone e stracolma di doni che dispensavano a piene mani. I bambini erano affascinati e felici. Gli adulti celebravano la ricchezza col trionfo dei consumi. Un sogno americano. E noi dentro quel sogno.

Ma ecco che adesso una nuova realtà ci sorprende. Dopo anni di spensieratezza, quasi da un giorno all’altro, scopriamo che non siamo più ricchi e che in realtà non lo siamo mai stati. O, se anche lo siamo stati per un po’, non poteva durare per sempre. A ripensarci, adesso sembra quasi che sia stata tutta una messinscena e anche Babbo Natale è ormai un attore secondario che s’è ridotto ad arrampicarsi lungo le facciate delle case, tanto da somigliare più a un ladro che a un fantoccione che porta regali. Regali finti, di sola confezione.

Triste Natale del 2013, Natale di sacrifici. Troppi. E ancora non sappiamo come andrà a finire. Il denaro non basta più. La fiducia scarseggia e il benessere è soltanto un vocabolo vuoto. Sono giorni carichi di incertezze e disagi per tutti. Tanta sofferenza nel mondo. Disperazione, tragedie, conflitti di religioni, massacri di popoli. Odio e morte. Basta. Fin quando ci saranno ancora questi delitti di cui tutti siamo un po’ colpevoli — eccetto i poveri che ne sono le vittime — il giorno di Natale sarà soltanto la solita grande truffa, un inganno per le nostre sbiadite coscienze. In quello stesso giorno in cui si onora la nascita del Bambino Gesù, altri piccoli esseri umani vengono al mondo senza neppure il riparo di un tetto, né il tepore di una stalla con un bue e un asinello. Bambini nati senza l’abbraccio di una madre. Persino il crimine dell’abbandono. Umanità delirante. E così si compirà la profezia: «…le tenebre inghiottiranno la luce… e una luna spaventevole incomberà nel cielo…».

Scrivo non per rassegnazione. Anzi, vorrei poter gridare con tutte le mie forze una bestemmia contro me stesso. Perché non agisco ? Provo orrore, ma rimango inerme, inebetito. Dove ho letto: «Egli verrà alla testa dei suoi eserciti celesti… e gli angeli canteranno la Sua gloria nell’alto dei cieli…». Brandelli di frasi rimasti appiccicati alla memoria: «E pace in terra agli uomini di buona volontà».

Da anni ormai vivo in montagna. Ci sono certe notti d’inverno così fredde che tutto sembra bloccato in una rigidità glaciale. Il profilo scuro degli abeti è come dipinto su un fondale di teatro e le loro punte estreme somigliano a dita che vogliono indicare il cielo stellato. Il gran freddo ha reso l’aria cristallina e si contano le stelle. In una di queste notti mi capitò — non so per quale particolare circostanza — di trovarmi a guardare il cielo. La notte metteva paura alle genti primitive. Nelle tenebre, insidie misteriose minacciavano gli esseri viventi che, terrorizzati, si nascondevano nel chiuso delle caverne. Col tempo, tanto tempo, cominciarono a rassicurarsi nel vedere che con il calare del sole si accendevano nella oscurità della volta celeste le «lanterne del cielo» e il brillìo delle stelle vegliava sopra il sonno dei viventi. Poi venne anche il tempo della contemplazione: il grande scenario del firmamento cominciò a svelare agli esseri umani il mistero delle origini.. E in ogni angolo della Terra, le stelle parlavano ovunque con le lingue di tutte le genti. Fu così che il cielo con le sue costellazioni divenne il primo libro dell’umanità. Nel firmamento si posero i fondamenti della sapienza antica che nel corso dei secoli divenne madre di ogni altro sapere.

Quanta strada è stata fatta! Quanta conoscenza e quanto progresso nello sviluppo delle tecnologie. E la scienza spinge il suo sguardo sempre più lontano negli spazi cosmici. Oggi, chi di noi interroga ancora il cielo? Tuttavia, il cielo continua a parlarci e la curiosità dell’uomo nell’indagare gli spazi siderali è diventata una scienza avanzatissima. Scrive Jorge Luis Borges: «Non credo più in questo progresso. Che sia un progresso».

E cos’è che in questa notte di vigilia insorge dentro di me e reclama la mia attenzione? I vecchi, si sa, tornano bambini, e io non mi vergogno di sentire ancora il desiderio di scriverti, caro Gesù Bambino, e quante cose vorrei chiederti! Di quanto aiuto sentiamo ancora il bisogno di ricevere da te! E che tu solo puoi regalarci. Lo so bene che ascolti più volentieri i bambini perché hanno il cuore puro degli innocenti. Ma se vorrai ascoltare anche noi che da troppo tempo abbiamo lasciato che il nostro cuore si chiudesse all’amore degli altri, lasciaci almeno la speranza di poterci mettere alla prova per diventare uomini di buona volontà e di pace. Per questo ho deciso che da quest’anno riprenderò a fare il presepe ogni Natale, per gli anni che ancora mi restano. Loredana tirerà fuori dal ripostiglio lo scatolone con le statuine che tanto tempo fa avevamo modellato nella creta insieme ai bambini e quest’anno, inaspettatamente, se lo troveranno di nuovo lì, sotto i loro occhi e io, da poco distante, li spierò mentre loro, senza darlo a vedere, ne sono sicuro, tratterranno un brivido di commozione.


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