Scalfari accusato per la sua amicizia con Papa Francesco

Eugenio Scalfari risponde a Massimo Borghesi che ha definito l’incontro del fondatore di “Repubblica” con il Papa “un riconoscimento pericoloso” per gli anticlericali integralisti, per la sinistra laica e per la destra cattolica.

NON ho il piacere di conoscere Massimo Borghesi, che ha scritto lunedì scorso un lungo articolo su di me, parlando del mio ultimo incontro con papa Francesco il 6 luglio e concludendo il suo ampio scritto sulla mia consueta rubrica domenicale che quella volta si è interessata pochissimo di politica e molto invece di cultura moderna e della poetica di Eugenio Montale che in qualche modo la rappresenta.
Debbo ringraziare Borghesi per la sua attenzione nei miei confronti e la frase finale del suo articolo.
Così conclude Borghesi: «In un incontro profondo, dettato dalla corrispondenza dell’anima, quest’uomo navigato, scettico, disilluso nel suo razionalismo, riconosce al di là di ogni teologia, la testimonianza umanissima del Successore di Pietro. Un riconoscimento pericoloso. Tanto agli occhi dei laici integralisti, quanto a quelli degli antipapalini, fermi, al pari dei laici “ortodossi”, alla ideologia. Che un uomo, in un incontro, possa trovare respiro per la ferita che lo abita è un’ipotesi che va al di là dell’immaginazione della sinistra laica come della destra cattolica. Al di là di questi opposti, alleati nella loro lotta, si situa lo spazio dell’incontro tra un Pontefice ed un intellettuale laico assillato, nonostante tutto, dal mistero della vita».
Un bel finale, gentile Massimo Borghesi, ma desidero rassicurarla: io non sono “assillato”. Riconosco da tempo che la vita della nostra specie, a differenza degli altri esseri viventi vegetali o animali, è dominata dall’esistenza dell’Io. Noi abbiamo e siamo dominati dalla consapevolezza del nostro Io che lo rende duplice: l’Io che opera e vive e l’Io che lo guida da fuori e lo giudica. L’Io umano è duplice, nel senso che mentre vive, parla, combatte, si rassegna, è allegro, è insoddisfatto, è disperato, è triste, ama, odia, ha coraggio, ha paura, nel frattempo si guarda da fuori e si giudica.
Spesso questo giudizio è negativo e non sempre ma molte volte è giusto, tuttavia nel sottofondo di ciascuno di noi c’è ed è questo vedersi da fuori mentre si opera e si vive. Da questo punto di vista siamo profondamente diversi dalle scimmie e dallo scimpanzé dal quale probabilmente deriviamo.
Ho cominciato ad esser consapevole delle contraddizioni intime che ci distinguono dalle altre specie quando avevo una trentina d’anni, poi, col passar del tempo e delle molte esperienze che ho avuto, quella consapevolezza è cresciuta fino al punto che esattamente vent’anni fa ho scritto un libro intitolato Incontro con Io.
Non so se lei, gentile Borghesi, l’ha letto. Le accenno soltanto che il protagonista è Odisseo che a mio avviso è l’eroe moderno che impersona consapevolmente l’Io. E quello che meglio ne scopre la natura è Dante che lo incontra nell’Inferno, lo fa parlare e racconta la trasformazione che la sua vita, il suo cuore, la sua anima subisce: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza ».
Non dico con questo d’aver superato i misteri della vita, ben altri mi hanno preceduto di secoli e di millenni e non è affatto detto che abbiano superato tutto. Ma non sono assillato. Sono consapevole che ogni nostra attività, dalle più banale alla più significativa, è dominata dall’Io anche se non sempre lo sappiamo e/o ce ne accorgiamo. Di solito le moltitudini non sanno neppure che il problema dell’Io esiste. Seguono i loro istinti, le loro pulsioni, la loro timidezza, la loro paura o il loro coraggio e la loro audacia, ma questo l’ho già detto, quello che più di tutto sfugge loro è la profonda diversità delle varie forme della natura umana.
Prendiamo alcune di queste forme, per esempio la poesia. A me piace molto, si esprime in vari modi: parole, note musicali, colori e pennello ed altri strumenti ancora. Perfino la scienza molte volte sconfina nella poesia e il nostro Leonardo da Vinci ne è uno degli esempi. Einstein un altro. La casa dei doganieri di Montale un altro ancora, ma forse lei, gentile Borghesi, non sa che tra le opere poetiche che considero più alte ci sono il Poema paradisiaco e le Laudi di Gabriele D’Annunzio: sono folgoranti esempi di poesia. In particolare il terzo libro delle Laudi, l’Alcyone, e uno dei suoi componimenti che si intitola L’oleandro.
D’Annunzio aveva un pessimo carattere, era dominato dai vizi peggiori, ma fu un grandissimo poeta, come lo furono nella medesima epoca Rainer Maria Rilke, John Keats, Edgar Allan Poe, Aleksandr Blok e moltissimi altri. La vita ovviamente la vedono in diversissimi modi. E il loro Io? In alcuni ha la caratteristica di essere molto vigile. Per esempio in Rilke, specie nel suo Quaderni di Malte Laurids Brigge. In altri l’Io è estremamente contraddittorio. Per esempio in D’Annunzio, come ho già detto.
Ma andiamo più indietro nei secoli o addirittura nei millenni: troviamo le poesie di Alceo e di Saffo d’una modernità senza pari ed egualmente, in un’epoca distante più di un millennio Guido Cavalcanti, e poi Dante e poi Tasso e infine Leopardi. Nella loro diversità l’uno dall’altro, la loro capacità d’esprimere l’anima, di farsi guidare da lei, d’avere il cuore e la mente dominati dall’Io è egualmente moderna.
Gentile Borghesi, altro non dico. Ma mi piaceva che lei mi conoscesse meglio. Non sono affatto un genio; sono una persona estremamente qualunque, ma ho avuto una vita ricca e lunga. Ora posso anche vantarmi dell’amicizia con papa Francesco, non certo perché è un Papa, ma per l’uomo eccezionale che è.

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