I mostri e l’anima dei giovani

È un luogo dell’orrore ma anche di fascinazione
MASSIMO RECALCATI
In tali figure incarniamo le pulsioni più scabrose e meno riconducibili a un’idea di civiltà. Rappresentano qualcosa che abita in noi, ma che è eccessivo
Le immagini del mostruoso hanno da sempre popolato la fantasia umana e le sue narrazioni: dai graffiti preistorici alle ultime immagini cinematografiche, dai miti alle ultime produzioni letterarie. La tesi che Freud sostiene è che in tutte queste rappresentazioni gli esseri umani provano a dare voce e corpo al mostro che li abita. Quale mostro?

Le spinte pulsionali più scabrose e più irriducibili al programma della Civiltà: la pulsione aggressiva e la pulsione sessuale, l’avidità sconfinata della pulsione che per raggiungere il suo fine rifiuta ogni limite imposto dalle leggi della Cultura.
L’apparizione del lupo cattivo, del cane nero, dell’animale feroce, dell’orco spietato, del drago con la lingua di fuoco, popolano regolarmente l’universo immaginario dei bambini che in questo modo provano a prendere contatto con le loro dinamiche pulsionali più perturbanti. Anche nell’adolescenza la presenza del mostruoso ricorre con costanza. Con le trasformazioni della pubertà l’adolescente fa l’esperienza inquietante che ciò che minaccia la propria identità viene dal proprio corpo. Il corpo pulsionale sgomita, emerge come una lava vulcanica che destabilizza l’immagine dell’Io che l’infanzia ha forgiato. È il problema che attraversa il disagio della giovinezza: come dare una forma al corpo informe della pulsione sessuale? Come dare diritto di cittadinanza al mostro che portiamo dentro di noi? Conosciamo la diffusione tra gli adolescenti di quei fenomeni che la psicopatologia ordina come dismorfofobici e che riguardano l’alterazione della percezione della propria immagine corporea riflessa nello specchio. In questi fenomeni l’immagine si deforma, appare straniera, il soggetto non vi si può più riconoscere. La sua deformazione mostruosa denuncia il sisma della pubertà come ingovernabile: cosa sto diventando? Chi sono? In quale mostro mi sto trasformando? Una mia giovane paziente bulimica alla fine di ogni abbuffata si sentiva simile a Hulk, il celebre mostro verde di Marwell risultato di un esperimento scientifico finito male. Metamorfosi atroce dell’immagine che troviamo anche in moltissime altre sequenze cinematografiche dove il corpo, parassitato al suo interno, diventa teatro di trasformazioni drammatiche.
Il mostruoso non è solo il luogo dell’orrore, ma anche quello di una fascinazione misteriosa perché incarna qualcosa che pur abitando in noi stessi ci eccede, diventando un oggetto, al tempo stesso, d’angoscia e di curiosità. La figura narrativa e cinematografica di Harry Potter ha ottenuto un successo planetario tra i ragazzini proprio perché il suo essevolti re continuamente alle prese con mostri, demoni, magie e incantesimi rivela lo statuto ambivalente del mostruoso, sorgente di terrore ma anche di una vera e propria passione euristica.
Questo carattere tutto interno, “inconscio” direbbe Freud, del mostruoso ci viene rivelato, in un contrappunto sottile, da uno storico film di David Lynch com’è
Elephant man. Il protagonista è un essere umano deturpato nel volto da masse tumorali abnormi e costretto a ricoprirsi con un sacco per non diventare oggetto di angoscia. Nondimeno al di sotto di questa orribile immagine non c’è affatto un mostro, ma una persona dolce e sfortunata che rimpiange con tenerezza l’amore della propria madre, come per indicare la non coincidenza tra l’interno e l’esterno. Lo sappiamo per esperienza: al di là di un cattivo e farsesco lombrosianesimo i d’angelo non sempre rivelano un’anima altrettanto angelica. Per questa ragione il vero mostro nel film di Lynch non è il povero “Elephant man”, ma colui che sfrutta cinicamente quella mostruosità facendone uno spettacolo da circo e gli spettatori che pagano il biglietto per contemplarla divertiti. Accadde anche con l’anarchico Valpreda nel tempo della strategia della tensione: il mostro in prima pagina sembrava offrire un trattamento rassicurante dell’orrore della strage, la quale però non fu affatto concepita da chi era fuori dal sistema, ma da servizi deviati interni al sistema stesso. È questo tutto il peso specifico della tesi freudiana: l’angoscia per il mostruoso – l’attentato terrorista – riaccende le opzioni fobiche dei bambini impauriti dalla presenza misteriosa del loro corpo pulsionale. C’è bisogno di una sua evacuazione immediata: il mostro non sono Io, ma è sempre l’Altro (il cane nero, la strega, l’Orco, l’ebreo, il gay, l’anarchico terrorista). Questo significa che i “veri” mostri (Hitler, Stalin o il padre-padrone incestuoso che prostituisce e abusa sessualmente delle proprie figlie rappresentato dal film greco di Alexandros Avranas, Miss Violence),sono coloro che non vogliono in nessun modo incontrare il mostro che sono. Paranoia e perversione: per evitare l’incontro con il mostro il perverso si elegge ad Io ideale, realizzando con tenacia e perseveranza il suo disegno di costituirsi come un Egoarca; il paranoico ricerca invece l’impuro con il quale identificare il mostro per scagliarvi contro il proprio odio infinito. In questo senso Gesù aveva anticipato Freud: guardare la pagliuzza nell’occhio del nemico ripara dal dover constatare la trave che ci acceca.
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