Quando al potere salgono gli psicopatici…

R2 Cultura
Il saggio di Jon Ronson, autore de “L’uomo che fissa le capre”, traccia il profilo psicopatologico dei leader che fanno andare avanti il mondo
IL POTERE dei FOLLI
Dai dittatori ai super manager comandare è roba da matti
GABRIELE ROMAGNOLI
Il rais girava con una scorta di amazzoni, dormiva sotto una tenda e stuprava minorenni. Il presidente riceveva in una stanza piena di tigri impagliate da lui stesso cacciate. L’amministratore delegato pretendeva che tutte le auto nel parcheggio aziendale fossero dello stesso colore e frantumò con una mazza da golf il parabrezza dell’unica non omologata.
Qualcuno lo sussurrava: «Questo qui mi pare picchiatello ». L’affermazione, oltreché rischiosa per l’incolumità o la carriera, non trovava consenso. Il potere (come il successo e la ricchezza) sana e trasfigura. Quel che in un sarebbe un sintomo inquietante e univoco, in un notabile è un forte tratto della personalità, uno degli aspetti eccentrici che l’hanno reso unico e vincente. Noi vediamo, sappiamo, ma ci lasciamo convincere del contrario, concedendo il beneficio del dubbio e il danno della rielezione. Verrà la storiografia a sancire quel che era evidente. Eppure è già venuto qualcuno a dirci, con un libro, che il re non è nudo, è psicopatico. Davvero? Che sia questa la ragione per cui metteva al senato la sua cavalla, consultava le astrologhe prima di quotarsi in Borsa, pretendeva che il summit si tenesse all’alba e tutti si presentassero in calzini?
Grazie a Jon Ronson per aver scritto
Psicopatici al potere (Codice Edizioni). Almeno adesso non si potrà dire che nessuno se ne era accorto. Ronson è conosciuto per aver scritto L’uomoche fissa le capre (da cui un film con George Clooney) e svariati reportage sull’affollato universo dei complottisti. L’interesse per gli psicopatici gli è nato dal sospetto che lo stessero cercando, che fossero intorno a lui, che lui stesso fosse uno di loro. Il titolo originale, The Psycopath test, è meno forte. Quello della traduzione italiana va dritto al punto: questa categoria ci governa. Nella definizione originaria dello psichiatra francese Philippe Pinel sono espressione di un tipo di follia privo di manie, depressioni, psicosi. Ronson sostiene che “per consenso universale” rappresentano “solo” l’1% dell’umanità. Limitandoci all’Italia: “solo” mezzo milione circa. La percentuale è curiosamente simile a quella dell’élite che possiede la ricchezza del restante 99%, la “superclass” planetaria. Questo non significa che i due spicchi di 1% coincidano. Non del tutto, ma in buona parte. Esistono psicopatici in economy, ma è molto più facile trovarli in business. Ossia: «ai livelli più alti della politica e dell’economia ». Sono loro a «far andare avanti il mondo, giacché una mente squilibrata è più potente di una razionale».
Gli psicopatici piacciono, conquistano. Perché? Anzitutto perché vogliono
piacere, conquistare. È uno dei loro tratti distintivi. Intervistato da Ronson lo ammette Emanuel “Toto” Constant, un carnefice, ex comandante degli squadroni della morte di Haiti. Come un qualunque concorrente di reality nominato confessa: «L’idea di non piacere mi fa star male, per me è molto importante, sono sensibile alle reazioni altrui». Per non soffrire s’impegna, seduce. E riesce. Le persone razionali a un certo punto mollano l’osso. Sono consapevoli che, come insegna il Corano: «La vita su questa terra è solo un gioco, un passatempo». Lo psicopatico insiste, non ha domani, non ha altrove. Il suo mondo è IL mondo, non ci sono confini. Non ci sconfigge, ci arrendiamo a lui. E non lo facciamo per stanchezza, ma perché pensiamo, sbagliando, che non sarà la fine del mondo. È solo l’inizio del SUO mondo e viverci sarà un inferno.
C’è un’altra caratteristica che consente allo psicopatico di andare al potere: l’assenza di empatia. È talmente impegnato a evitare il proprio dolore che non contempla, manco concepisce quello altrui. Puoi mostrargliene una fotografia (bimbi in catene, disoccupati alla fame, pinguini sterminati), non batterà ciglio. Alcuni sostengono che accada per un difetto insito in una parte del cervello detta amigdala. Dunque non è colpa sua, l’han disegnato così?
Il problema vero, come sempre, non è l’effetto, ma la causa. Ovvero, se lo psicopatico va al potere è perché ce lo mandano. E ce lo tengono. Davvero quando gli consegnano le chiavi di casa non capiscono con chi hanno a che fare? Sarebbe opportuno, per il bene dell’umanità, ritagliarsi la lista dei “Venti indizi per riconoscere uno psicopatico” redatta dallo psicologo canadese Bob Hare. Ne cito alcuni: loquacità, fascino superficiale, egocentrismo, tendenza al grandioso, menzogna patologica, propensione alla noia, abilità nella manipolazione, assenza di rimorso o senso di colpa, insensibi-lità, deficit del controllo comportamentale, promiscuità sessuale, mancanza di obiettivi realistici a lungo termine, irresponsabilità, versatilità criminale. Dove trovare facilmente persone rispondenti a questo identikit? In galera, ovviamente. Poi: a Wall Street e a Davos. Perché ci sono psicopatici che finiscono in carcere e altri che vanno ai summit? Secondo Ronson dipende soprattutto dalla famiglia d’origine. In effetti ci sono rampolli che sarebbe stato più saggio mandare in cella che a consigli d’amministrazione o dei ministri.
La cosa più incredibile è che, smascherato uno psicopatico, si affidi il potere a un altro. Ronson racconta un caso emblematico, quello della Sunbeam, una società motoristica britannica. Negli Anni Ottanta sceglie come ammini-stratore delegato tale Robert Buckley. Girava con una guardia del corpo armata di mitragliatrice, collezionava sculture di ghiaccio del valore di diecimila dollari, aveva una flotta di jet e Rolls Royce, manteneva il figlio in un appartamento da un milione di dollari a spese dell’azienda in crisi. Fu licenziato per aver messo a rimborso centomila dollari di vino. A questo punto lo scettro fu passato a un certo Paul Kazarian. Lanciava boccali di succo d’arancia contro i collaboratori, sparava con la pistola ad aria compressa durante le riunioni e urlava cose come: «Pur di chiudere l’affare, succhiagli il cazzo a quel bastardo!». Non avendo chiuso abbastanza affari fu sostituito da Al Dunlap, un sadico dei licenziamenti, che minacciò la prima moglie con un coltello, non andò al funerale dei genitori e frodò la società falsificando il bilancio e intascando sessanta milioni di dollari. Licenziato a sua volta, fece causa e vinse, ottenendo una liquidazione d’oro.
Uno psicopatico, se non si ha la lista di Hare in tasca, può sfuggire. Due? Mah. Tre sono una prova. Di che cosa? Del fatto che questi esemplari umani piacciono, a troppi. E quei troppi a loro si consegnano come a un destino ineluttabile, con il più clamoroso degli errori di prospettiva. Ossessivi e smaglianti, gli psicopotenti non indicano la luce e la salvezza, ma il fuoco e la fine. La Sunbeam ha chiuso stabilimenti in mezzo mondo. Il suo ex amministratore delegato Al Dunlap vive in Florida, in una immensa villa popolata da decine di sculture di feroci predatori: squali, falconi, alligatori, ma soprattutto tigri, tante tigri.
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