Uscire dalla crisi conla filosofia

CULTURA
USCIRE DALLA CRISI CON LA FILOSOFIA
Una proposta originale nel saggio di Moreno Montanari
UMBERTO GALIMBERTI
Stiamo attraversando un periodo di crisi oggettiva e soggettiva. La crisi oggettiva è determinata dal fatto che le leggi del mercato confliggono con il mondo della vita: dai giovani che non trovano lavoro, agli occupati che lo perdono, dagli imprenditori che chiudono le loro imprese, all’aumento progressivo e generalizzato della soglia dalla povertà. E la domanda che spontanea e drammatica sorge è quella del filosofo Franco Totaro: «Ma i fini dell’economia sono anche i nostri fini?».

La crisi soggettiva è determinata dalla rassegnazione generalizzata, perché il conflitto non è più tra imprenditori e lavoratori, perché sia gli uni che gli altri si trovano dalla stessa parte e han-no come controparte il mercato. E come fai a prendertela con il mercato? Il mercato è nessuno, anche se il filosofo Romano Madera ci ricorda che, come leggiamo in Omero: «Nessuno è sempre il nome di Qualcuno», ma questo Qualcuno non è identificabile.
Da questa considerazione prende avvio il libro, di Moreno Montanari, Vivere la filosofia( Mursia, 2013, p. 154, 14 euro), la cui lettura consiglio a tutti, perché segnala come una possibile via d’uscita quella di tornare al messaggio che la filosofia, al suo nascere e prima di diventare disciplina di Accademie, ha consegnato all’uomo, invitandolo a rispettare la sua natura che, a differenza di quella animale, non si accontenta della realtà quale è data, ma la vuole trascendere, la vuole oltrepassare, rifiutando la rassegnazione, il cinismo, i vissuti di impotenza, gli atteggiamenti vittimistici e persino l’indignazione, se poiquesta lascia le cose così come sono.
La filosofia, infatti, non è nata come “teoria”, ma come “rifiuto a imprigionare la vita in ciò che è”, e quindi nell’accettazione rassegnata del dato, nell’inerzia che non promuove la problematizzazione dell’ovvio, dell’opinione diffusa e acriticamente accolta come inoltrepassabile, riducendo l’uomo, da attore della propria vita, a semplice spettatore e vittima di poteri che lo sovrastano e, soggiogandolo, ne decidono il destino. Si tratta della filosofia che si pone domande non tanto per trovare risposte teoriche, ma, come scrive María Zambrano, per indurre gli uomini ad «essere loro stessi risposte che mettono in moto la vita».
Per questo occorre superare lo sguardo individualistico che giudica lo stato delle cose dall’angolatura ristretta del proprio punto di vista, e guardarle nella prospettiva del Tutto, dove la scala dei valori subisce una radicale trasfor-mazione. E allora diventeremo responsabili delle sorti dell’aria, dell’acqua, della biosfera, della vegetazione, della sorte degli animali, in una parola della Terra, nei confronti della quale non abbiamo ancora formulato alcuna etica, perché finora abbiamo limitato l’etica a regolare i conflitti tra gli uomini, ma non ancora a farsi carico degli enti di natura. E già la Terra non regge, se è vero, come ci informa il “Global Footprint Network”, che se tutti vivessimo con lo stile divita americano avremmo bisogno di cinque terre, e con lo stile italiano di 2,7. Quello di guardare le cose dall’alto e non dal nostro particolare punto di vista, quello di pensarci parte di un Tutto e non al vertice del creato è il primo esercizio filosofico trasmessoci dagli antichi Greci, e divenuto per la prima volta nella storia umana particolarmente concreto con la globalizzazione.
Un altro esercizio filosofico è quello indicato da Platone come “esercizio di morte” dove l’aver presente che si deve morire, si trasforma, come scrive Pierre Hadot, nell’invito a “ricordarsi di vivere”, e quindi a fare una nuova gerarchia dei nostri bisogni e desideri soprattutto in riferimento a quelli superflui, una diversa gradazione delle nostre urgenze e dei nostri valori, una più significativa valorizzazione delle nostre relazioni affettive, in una parola un modo nuovo di essere uomo, non appiattito sulle istanze del presente, ma prospettico e rivolto al futuro, non col tratto passivo di chi spera o attende, ma con quello attivo, conforme alla natura propria dell’uomo che non si consegna alla realtà di fatto, ma vuole oltrepassarla.
Questi sono alcuni degli esercizi filosofici ben illustrati ed esemplificati da Moreno Montanari. Altri se ne aggiungono come la scrittura meditativa che riflette sui testi che leggiamo, disposti a farci modificare da loro non solo in ordine alle nostre idee ma soprattutto in ordine alla nostra esperienza, accompagnati in questo da quell’atteggiamento che è l’amore, che per Platone è “filo-sofo”, perché non possiede l’altro, come la filosofia, che non possiede la verità, ma la cerca perché la ama.
Si dirà: con questi esercizi filosofici si trasforma se stessi, ma non il mondo. Non è vero perché, come ci ricorda Michel Foucault ne La cura di sé: «Il punto di Archimede sul quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me steso», perché «quando riusciamo a curare le ferite del nostro mal di vita – scrive Montanari – ne beneficiano tutte le persone che intrecciano la loro esistenza con la nostra, mentre quando ciò non riesce finiamo inevitabilmente per intossicarle». La lezione di “vivere la filosofia” è impartita, ora spetta a noi praticarla.
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